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In Ateneo

Il futuro dell’Open Science al centro della settimana dell’Open Access al Politecnico

14 Dicembre 2018

Nel marzo 2018 Wilma van Wezenbeek, direttrice della biblioteca della Delft University of Technology, aveva twittato “il 2018 è l’anno di non ritorno per l’open access”: quasi una profezia, a giudicare da questo fine d’anno vivacissimo per l’Accesso Aperto e la Scienza Aperta in genere.

È in questo contesto di profonda trasformazione della scienza che il Politecnico di Torino - col nuovo piano strategico Polito4Impact - si è dato l’obiettivo di imboccare la via dell’Open Science per rispondere alle sfide del futuro e prepararsi adeguatamente al nuovo programma Horizon Europe.

L’Open Access Week, organizzata in Ateneo dal 22 al 24 ottobre, è stata un primo momento di informazione, in vista di muovere passi concreti sui temi dell’accesso aperto alle pubblicazioni e ai dati.

Nella relazione di apertura Elena Giglia (Università di Torino) ha illustrato la profonda crisi dell'attuale sistema della comunicazione scientifica: una crisi che non è soltanto di sostenibilità economica, dati i costi esorbitanti sostenuti ogni anno dalle istituzioni di ricerca per accedere alle pubblicazioni scientifiche - un mercato che globalmente ammonta a circa 22 miliardi di euro – ma di valore, come ben documentato anche nel film Paywall: The Business of Scholarship uscito ad ottobre in occasione della settimana internazionale dell’Open Access.

Si tratta dell’obsolescenza dei servizi offerti rispetto alle possibilità create dalle tecnologie digitali, dell’aumento di comportamenti opportunistici nella comunità scientifica, di una scienza positive- and mainstream-biased, della crisi della riproducibilità e della preoccupante crescita di ritrattazioni. Elena Giglia ha poi fornito un’ampia panoramica degli strumenti offerti dall’Open Science per migliorare la disseminazione, il riuso, la riproducibilità e la valutazione dei risultati della ricerca, mettendo in luce come l’Open Science abbracci l’intero ciclo della ricerca scientifica.

Come impostare un percorso concreto ai FAIR Data è stato il focus della relazione di Paola Galimberti (Università degli Studi di Milano) che ha evidenziato la necessità di un approccio misto “top-down” e “bottom-up”: le istituzioni devono dotarsi di infrastrutture e strumenti per il supporto organizzativo, etico e legale alla gestione dei dati, lasciando ai ricercatori lo spazio per sviluppare metodologie di lavoro coerenti con le diverse discipline. Sebbene in Italia latiti una strategia a livello nazionale sugli Open Data (come anche sull’Open Access), il panorama nazionale è vivace, con diverse Università che stanno lavorando per dotarsi di strategie adeguate e associazioni e gruppi di lavoro trans-universitari, AISA, IOSSG e RDA Italia, attivi nella promozione della Scienza Aperta. In particolare, IOSSG e RDA promuovono azioni concrete di formazione e supporto alla gestione dei dati della ricerca.

Non tutti sanno che Open Access non vuol dire di per sé cattiva qualità” riassume la riflessione proposta da Enrico Bucci (Sbarro Health Research Organization, Resis s.r.l) sull’equivoco di un indissolubile connubio tra open access e predatory publishing. Partendo da una fotografia dettagliata dello stato della comunicazione scientifica che evidenzia la forte crescita a livello mondiale di comportamenti fraudolenti innescati in gran parte dalla politica del “publish or perish” e dalla distribuzione iniqua dei fondi di ricerca che ne consegue, Bucci ha spiegato che occorre separare il concetto di open dal modello commerciale della sede editoriale, e ha proposto varie vie per contrastare la debolezza insita nel modello a pagamento. In primis ha sottolineato l’importanza di Open Data e Open Review nell’assicurare scienza di qualità. Non solo, per scindere l’open predatorio dall’open di qualità occorre spostare il baricentro della contrattazione dal singolo autore alle istituzioni, con big deal nazionali per “leggere e pubblicare”, nel segno dei contratti trasformativi invocati dal planS. Infine, smettere con gli eccessi bibliometrici è l’invito rivolto da Bucci alla comunità scientifica.

Si tratta di restituire alla pubblicazione la sua naturale funzione di “unità di conoscenza” anziché di “unità contabile” in cui è stata trasformata di fatto negli ultimi decenni dai sistemi di valutazione massiva della scienza e dall’idolatria dell’Impact Factor”, ha spiegato Alberto Baccini (Università di Siena) nella sua relazione di chiusura su valutazione, incentivi della ricerca e scienza aperta. Affinché la scienza aperta possa far fede al cambiamento culturale cui tende, è necessaria una profonda rivisitazione dei modelli di valutazione e incentivazione della ricerca, pena la perpetuazione delle odierne debolezze della scienza che provocano un aumento di “prodotti della ricerca” da contabilizzare - è in estrema sintesi la riflessione di Baccini.

Le sessioni hanno poi dato spazio ad alcune delle esperienze concrete in atto al Politecnico di Torino con la presentazione della rivista ad accesso aperto ArchAlp e delle metodologie di utilizzo e valorizzazione di Open Data in ambiti multidisciplinari come quello urbanistico e quello energetico sviluppate nei Centri Interdipartimentali Full e SmartData. Le giornate hanno anche offerto l’occasione per fare il punto sulle attività istituzionali in corso con la presentazione della policy per l’accesso aperto alle pubblicazioni che si avvia a terminare il suo iter di condivisione e approvazione negli organi di governo, e degli strumenti e servizi già presenti in Ateneo come l’archivio istituzionale PORTO@IRIS e il supporto al personale di ricerca nell’aderire alle linee guida di Horizon 2020 per l’accesso aperto.

Come ricercatori dobbiamo comprendere il potere trasformativo della Scienza Aperta verso una cultura scientifica più collaborativa, responsabile, sana - commenta la Referente di Ateneo per la Scienza Aperta Federica Cappelluti In questo senso la Scienza Aperta non va intesa soltanto come un fine ma come un mezzo. Il percorso e gli strumenti con cui affrontarlo sono tutt’altro che cristallizzati e richiedono l’apporto creativo e propositivo della comunità accademica. È essenziale fare molta formazione, soprattutto tra le giovani leve della ricerca, e attrezzarci con un progetto sostenibile di concerto con i nostri Dipartimenti per essere al passo con la realtà europea. Fare scienza aperta non è un processo a costo zero ma nel Politecnico ci sono molte competenze che possono essere messe a sistema per costruire un percorso adeguato a livello di Ateneo. A livello nazionale un buon segnale è arrivato dal Capo Dipartimento del MIUR, il prof. Valditara, che durante l'inaugurazione dell'Anno Accademico del Politecnico ha richiamato l’importanza di presidiare progetti come lo European Open Science Cloud per un’efficace strategia della ricerca italiana.

Tutti i materiali (video e presentazioni) sono disponibili sul sito dell'evento.