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Ricerca e innovazione

Come costruire per sfuggire al “soffio della valanga”

20 Gennaio 2017

Opere di protezione attive o passive a monte dell’edificio, fondamenta più profonde se il terreno su cui le strutture poggiano è fragile, telai portanti e muri perimetrali robusti e accorgimenti contro il 'soffio della valanga': sono le regole basilari per costruire in modo sicuro nelle zone montane a rischio di valanghe e colate di detriti, come quella che ha investito due giorni fa l'hotel Rigopiano, ai piedi del Gran Sasso.

Lo chiarisce il professor Bernardino Chiaia, docente di Scienza delle costruzioni e vicerettore del Politecnico, intervistato dall’agenzia ANSA nelle ore in cui si stanno delineando con maggiore chiarezza i termini della tragedia dell’hotel di Farindola, dove i soccorritori stanno ancora lavorando in condizioni estreme, alla ricerca degli ultimi dispersi che ancora mancano all'appello dopo la slavina che ha completamente distrutto la struttura.

Una tragedia che poteva essere evitata? L’indagine della Procura di Pescara chiarirà eventuali responsabilità (in primis la verifica della corretta collocazione dell’albergo rispetto alla pericolosità idrogeologica dell’area e successivamente l’esistenza di eventuali norme sull’evacuazione) ma sicuramente la ricerca nel settore della scienza delle costruzioni può dare indicazioni utili alla realizzazione di edifici più sicuri e robusti.

Il gruppo di ricerca del Politecnico, guidato dal professor Chiaia, da anni conduce ricerche specifiche sul tema nelle Alpi occidentali, soprattutto in un sito sperimentale posizionato presso Gressoney (Aosta) sul monte Seehore (in figura a sinistra). Tramite un sistema di monitoraggio delle pressioni e velocità della massa nevosa in scivolamento, interamente realizzato dal Politecnico di Torino con il supporto della Regione Valle d’Aosta, si è potuto studiare in maniera assolutamente innovativa il comportamento meccanico delle valanghe di neve, riuscendo a produrre le Linee Guida per le Costruzioni a Rischio Valanghivo, documento oggi di riferimento in Italia e recentemente tradotto e adottato anche in Francia.

Attualmente, le normative specifiche differiscono da regione a regione. Molte regioni dell'Italia settentrionale definiscono le 'zone di pericolosità valanghiva' nel territorio montano e per ciascuna di esse individuano i requisiti che gli edifici costruiti in quelle zone devono avere. La Valle d'Aosta ha una delle normative più precise e affidabili: suddivide il territorio in tre zone, con altrettanti livelli di pericolosità, contraddistinte dai colori verde, giallo e rosso e da pressioni di impatto diverse. La zona rossa, per esempio, non dovrebbe prevedere nuove costruzioni e, in ogni caso, deve prevedere edifici in grado di sopportare una pressione di impatto di almeno tre tonnellate al metro quadrato.

Le prove sperimentali condotte al sito del Seehore indicano però che la pressione di tre tonnellate al metro quadrato non è il limite massimo: "Bisogna tenere conto anche dello spostamento d'aria, o meglio dell'aerosol generato dalle gocce d'acqua in sospensione nell'aria, spinta verso il basso dalla valanga: il cosiddetto “soffio della valanga”, particolarmente dannoso in presenza di canali ove l’aria può accelerare per effetto aerodinamico. L’aerosolo genera un impatto simile a quello di un'esplosione, tanto che la pressione complessiva esercitata da una valanga sulle pareti di un edificio può arrivare anche sei o sette tonnellate".

La difesa più efficace per le costruzioni e i villaggi è rappresentata da opere di difesa attiva o passiva.
Oggi si usano soprattutto opere di salvaguardia posizionate a monte degli edifici, come i ponti da neve, le reti o gli ombrelli, capaci di trattenere già nel bacino di accumulo la massa di neve. Nel passato si utilizzavano deflettori in muratura o calcestruzzo armato, ossia cunei posizionati a monte delle costruzioni capaci di deviare la direzione della valanga (tale soluzione, maggiormente impattante dal punto di vista ambientale, è oggi normalmente evitata).

Per quanto riguarda gli edifici, le ricerche condotte evidenziano che le caratteristiche costruttive devono rispettare parametri ben definiti: “Gli accorgimenti devono riguardare in primo luogo le fondamenta, con semplici plinti di fondazione sufficientemente larghi e approfonditi, se il terreno è roccioso, o con la realizzazione di sottofondazioni su pali spinti fino a 15 o 20 metri di profondità se invece la consistenza geotecnica del fondo è meno solida”, specifica il professor Chiaia, che conclude: “Contro il 'soffio della valanga' un accorgimento importante è anche assecondare il flusso d’aria, consentendo che le finestre possano aprirsi, soprattutto ai piani alti. Inoltre, tutti i muri di tamponamento, anche quelli non strutturali all’interno di un telaio in cemento armato, devono essere realizzati in maniera da resistere alla pressione d’impatto o protetti esternamente con accorgimenti anche semplici: tradizionalmente, nei rifugi e casolari alpini si accumulava legna d’ardere o terreno proprio accanto alle pareti potenzialmente esposte allo scivolamento di neve”.