Sembra scontato sottolineare ancora oggi, in occasione della festa della donna, quanto siano obsolete le dicotomie tra studi maschili e studi femminili, lavori da uomini e lavori da donne, giochi da maschi e giochi da femmine.
E’ importante ricordare, però, che il Politecnico è stato il precursore di questa rivoluzione silenziosa - e non ancora conclusa – laureando a pieni voti nel 1908 la prima donna ingegnere in Italia, Emma Strada.
Terza su 62 compagni di corso, proclamata un po’ in sordina per celare un imbarazzo persino linguistico (ingegnere o ingegneressa?) Emma Strada trascorse la sua vita a fianco – e a capo – di uomini.
Progettò infrastrutture ed abitazioni private, insegnò “Igiene Industriale” per qualche anno al Politecnico come assistente del professor Pagliani e fondò nel 1957 l’AIDIA -Associazione Italiana Donne Ingegnere e Architetto - con l’intento di promuovere e tutelare il lavoro delle donne nel campo della scienza e delle tecniche, favorire l’assistenza reciproca nel campo della professione, coltivare legami culturali e professionali con analoghe associazioni italiane ed estere. Morirà nel 1970 pochi mesi prima di presiedere a Torino la “III Conferenza internazionale di donne ingegneri e scienziate”.
Ma Emma Strada verrà ricordata soprattutto per ciò che in prima persona ha abbattuto: i muri della diffidenza e delle convenzioni. Anche grazie al suo esempio i dati del 2017 ci dicono infatti che il numero di donne ingegnere e architetto in Italia è tra i più alti d’Europa, di molto superiore a paesi quali Francia e Inghilterra. Al Politecnico di Torino, oggi, le iscritte sono quasi il 30% del totale e la stessa proporzione si ritrova nel corpo docente, mentre per quanto riguarda il personale tecnico amministrativo le donne hanno da tempo effettuato il sorpasso sui colleghi uomini, con il 60% di presenze femminili.