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In Ateneo

A 40 anni dal terremoto in Irpinia, il ricordo del Politecnico

27 Novembre 2020

Alle 19.34 del 23 novembre 1980 una scossa sismica di magnitudo 6,9 (X grado della scala Mercalli) colpì una vasta area compresa tra Campania, Basilicata e Puglia, provocando quasi 3mila morti, 9mila feriti e 280mila sfollati, con danni incalcolabili alle infrastrutture e alle abitazioni: questo fu il terremoto in Irpinia.

In quei giorni drammatici, il Politecnico di Torino raccolse il grido d’aiuto della popolazione e degli amministratori locali, organizzando immediatamente la propria partecipazione alle operazioni di primo soccorso della Regione Piemonte. Il 27 novembre, a soli quattro giorni dal sisma, il Consiglio di Amministrazione dell’epoca decise di costituire un “Comitato pro-terremotati” – composto dai professori Inghilleri, Pozzolo e Montagnana, da Guido Fiegna e dai rappresentanti degli studenti Gaia e Rossetti - per coordinare le azioni di aiuto.

Il Rettore Rolando Rigamonti, aprendo quella seduta del CdA, descrisse il terremoto come “una sciagura di immani proporzioni e che non ha confronto con altre a memoria, seconda solo al terremoto di Reggio e Messina del 1908”. E così il Comitato neocostituito mise insieme le competenze tecniche e la buona volontà di docenti, personale tecnico e corpo studentesco di Ingegneria e Architettura, che aveva già avviato in autonomia sottoscrizioni e iniziative di volontari. L’obiettivo era appunto quello di coordinare l’operato dei volontari, che già nei giorni immediatamente successivi al sisma erano partiti per i luoghi colpiti, e mantenere in contatti con la Regione Piemonte che, con sede operativa a Buccino nel salernitano, aveva stabilito il gemellaggio con i paesi dell’area. Il paese assegnato alle cure del Politecnico fu quella di Romagnano al Monte quasi interamente raso al suolo dalla scossa e per il quale si doveva predisporre un nuovo insediamento provvisorio in zona a circa 3 km e allora priva di infrastrutture.

Il Politecnico aveva già esperienza di aiuto in situazioni di forte emergenza, avendo partecipato con grande impegno alle attività di ricostruzione in seguito al terremoto del Friuli nel 1976, dove l’Ateneo contribuì con squadre di tecnici a riprogettare le aree urbane devastate dalla forza della natura.

Per arrivare in Irpinia vennero organizzati diversi viaggi in camper, per portare i volontari nei luoghi della tragedia, resi quasi irraggiungibili da crolli e smottamenti. Sul posto l’emergenza riguardava anche le situazioni climatiche, con temperature rigide e le prime nevicate. I soccorritori dovettero provvedere a dare sollievo agli abitanti rimasti – perlopiù anziani - fornendo elettricità e acqua potabile in condizioni proibitive dentro le roulotte e tende prima e nei prefabbricati poi.

Immagine della ricostruzione. Dal Supplemento al numero 12-1980 di "Notizie della Regione Piemonte" Nei quattro mesi successivi quasi 100 tra studenti e professori operarono in loco, per un totale di quasi 200 giornate di lavoro. Venne approvato dal CdA un fondo missioni per il personale impegnato nelle zone colpite che - con scelte volontarie – confluì nella sottoscrizione già attivata. Furono raccolti in totale oltre 30 milioni di lire, impiegati per realizzare un prefabbricato con servizi igienici, docce e lavanderia, poi inaugurato alla presenza del Rettore Rigamonti e del vice-presidente della Regione Piemonte nell’aprile del 1981.

L’esperienza del terremoto in Irpinia conferma che il Politecnico ha sempre mostrato la propria volontà di mettere a disposizione della collettività i propri strumenti tecnico-scientifici – ricorda il professor Giannantonio Bottino, già docente di Geologia presso l’Ateneo e membro del gruppo inviato in Campania per le valutazioni sul campo – Già dai tempi del terremoto in Friuli del 1976 e delle alluvioni in Piemonte alla fine degli anni ’60, l’istituzione non ha mai fatto mancare la propria presenza a sostegno di comunità colpite. Per quanto mi riguarda ho partecipato a più riprese alla spedizione in Irpinia, credendoci molto e mettendo a disposizione la mia professionalità, insieme a quelle di colleghi, ricercatori e studenti per replicare l’esperienza del Friuli. Vennero portati a termine molti interventi puntuali, per rispondere a esigenze di sicurezza immediate di strade, edifici e terreni franosi, ma resta il rammarico per non aver fatto di più. La vastità e le condizioni disastrose del territorio che abbiamo visitato hanno reso davvero arduo il nostro compito”.

Guido Fiegna, già stimato responsabile per la valutazione interna del Politecnico e all’epoca rappresentante del personale amministrativo e tecnico in Consiglio di Amministrazione, ricorda così quel periodo drammatico ma ricco di solidarietà: “La situazione dell’area dove andammo a operare era disastrosa e il lavoro dei volontari era reso ancora più difficile dalle distanze e dal clima inclemente. Tuttavia lo ricordo come un periodo pieno di collaborazioni e amicizia, in cui attraverso il lavoro abbiamo costruito un’esperienza significativa di quello che un’istituzione, come il Politecnico, può e deve fare per la comunità”.

Alle prime iniziative di soccorso, un po’ disorganizzate, cercammo di dare seguito coinvolgendo anche l’Università e l’ENPI – Ente Nazionale Prevenzione Infortuni, attraverso l’aiuto dell’amico ing. Salvatore Campobello – prosegue Fiegna – Mandando spedizioni regolari di mezzi e attrezzature. Il primo impatto fu particolarmente difficile per la eterogeneità degli interventi, non sempre allineati alle effettive esigenze del momento, e per la confusione della situazione politica locale. Noi dovemmo governare anche le assemblee della popolazione, presentando loro le misure di soccorso e le soluzioni abitative provvisorie in attesa della improbabile ricostruzione. Il mio compito era di coordinare le azioni dell’Ateneo, ma di fatto mi occupavo anche delle sottoscrizioni, degli approvvigionamenti, dei materiali e addirittura del supporto psicologico per le famiglie degli studenti partiti volontari, che erano molto preoccupate”.

La reazione del Politecnico e delle altre istituzioni al disastro in Irpinia può insegnarci molto anche a distanza di quarant’anni, secondo Fiegna: “Per fortuna oggi la cosiddetta Terza Missione è entrata stabilmente nelle linee di indirizzo e incentivazioni ministeriali. Infatti è fondamentale per qualsiasi istituzione produrre iniziative non soltanto di chi le frequenta, nel nostro caso studenti, docenti e personale, ma soprattutto della comunità che la circonda. L’esperienza in Irpinia, pur nella sua eccezionalità, è stata questo: ha unito le istituzioni nel lavoro a beneficio di chi era costretto a vivere condizioni drammatiche. Oggi bisognerebbe recuperare quello spirito, per sensibilizzare sulle iniziative sociali, che sembrano un po’ disperse e trascurate. Bisogna recuperare la memoria per radicare il proprio presente, sia nella ricerca che nell’azione sociale dell’istituzione, per non rischiare di impoverirla. Nel percorso formativo dei giovani si tratta di momenti importanti tanto quanto la didattica finalizzata al conseguimento di un titolo di studio”.

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