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In Ateneo

Rocce, cristalli, meteoriti

21 Aprile 2017

Un patrimonio ricchissimo, con reperti rari e esempi didattici e storici unici, quello conservato nelle collezioni storiche geo-mineralogiche e minerarie del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico, ora in mostra con alcuni dei suoi campioni più interessanti nei corridoi della sede centrale dell’Ateneo.  Il Politecnico possiede infatti ricche collezioni di rocce, minerali, macchine e modelli storici di attività minerarie, raccolte negli anni a partire dal 1859, anno di fondazione della Scuola d’Applicazione per gli ingegneri presso il Castello del Valentino e in seguito con le attività del Regio Museo Industriale nella sede di via dell’Ospedale.

“Dare nuova vita a questi reperti ci permette di ripercorrere la storia d'Italia e del Politecnico fin dalle sue origini”, ricorda il Direttore del DIATI Rajandrea Sethi nel presentare la mostra, che ha “una grande valenza scientifica, con alcuni campioni e strumenti unici nel loro genere, ma anche una grande valenza didattica, fondamentale in un Ateneo con una grande tradizione nel settore minerario. La mostra è il primo passo per valorizzare questo enorme patrimonio, e ci auguriamo che possa diventare un’esposizione permanente”, conclude Sethi.

Grazie a una collaborazione tra il Dipartimento e l’Area Bibliotecaria e Museale, a dare nuova dignità e valore alle collezioni sono stati i curatori della mostra: Margherita Bongiovanni, Carlo Clerici, Alessandro Delmastro, Lorenzo Mariano Gallo. Il professor Carlo Clerici conosce uno a uno i 300 cassetti della biblioteca del Dipartimento in cui sono conservati parte dei campioni, distribuiti anche in altri spazi del DIATI e a volte rimasti abbandonati per decenni, prima della recente valorizzazione.

“L’acquisizione di questi reperti è molto antica, inizia nei primi decenni dell'Ottocento con un museo mineralogico che ebbe un forte impulso con Quintino Sella, che donò 700 campioni. Nel 1935 contava quasi 40.000 campioni ed era al Castello del Valentino. La collezione fu trasferita poi in Via Ospedali (attuale Via Giolitti) nella sede del Museo Industriale poi confluito nel Politecnico. La sede fu bombardata nel 1942 e venne incendiata e distrutta. A questo proposito, si registrò in quell’occasione lo scoppio di un grande cristallo di spato, di cui ora in mostra si possono ammirare i frammenti sopravvissuti a quell’episodio. I reperti salvati furono riportati al Castello, poi all'Istituto di Mineralogia, Geologia e Giacimenti Minerari in C.so Duca degli Abruzzi”, racconta Clerici. Questo materiale presenta grande importanza sotto il profilo scientifico, storico e didattico. Le collezioni comprendono infatti campioni di minerali provenienti da ogni parte del mondo: meteoriti e rocce che rappresentano litotipi e particolarità tettoniche e geomorfologiche di varie zone del pianeta.

Il materiale in mostra, oltre a essere costituito da vari esemplari di minerali e rocce, espone anche modelli di arte mineraria, di tecnologia di miniera e di trattamento dei minerali e alcune macchine di particolare importanza storico-scientifica: le perforatrici di Sommeiller, utilizzate nello scavo della galleria ferroviaria del Frejus a partire dal 1861, che rappresentano il primo esempio di macchine per la perforazione meccanica dei fori da mina e il prototipo dell’elettrocernitrice magnetica di Quintino Sella, prima macchina al mondo per l’arricchimento dei minerali magnetici (utilizzata nella seconda metà dell’Ottocento nella miniera di Traversella).

Al di là della mostra, il Politecnico conserva complessivamente molte migliaia di pezzi, provenienti da raccolte di illustri studiosi di scienze della terra, di docenti e tecnici che hanno operato in Ateneo, oltre che provenienti da donazioni di collezionisti ed ex allievi. Tra i pezzi unici e più curiosi, una pepita di platino tra le più grandi esistenti al mondo (673 grammi), donata ai Savoia dallo zar Alessandro II nel 1876, alcuni campioni di grandi dimensioni, sculture come quella del serpente monolitico realizzato da prigionieri di guerra austriaci durante la prima guerra mondiale. Ogni pezzo ha una storia, a volte difficile da ricostruire, anche per le difficili condizioni di conservazione, altre volte i reperti presentano veri e propri piccoli “gialli”, come il meteorite del 1492 che non si trova più, ma di cui si conserva la base.

Sono tante le curiosità e i campioni di valore storico-scientifico esposti fino al 7 ottobre nei corridoi di corso Duca degli Abruzzi con l’intento di far conoscere al pubblico un patrimonio documentaristico, storico e scientifico di valore inestimabile: “Come Ateneo abbiamo il dovere di mettere a disposizione il nostro patrimonio e di condividerlo con la comunità. In un mondo sempre più virtuale, sono sicuro che sia necessario riscoprire anche il contatto con gli oggetti fisici e questa mostra, anche per come si sviluppa nei nostri corridoi, permetterà a queste collezioni di rientrare a pieno nella vita del nostro ateneo”, conclude il Vicerettore Emilio Paolucci, intervenuto alla presentazione.

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